Dal 20 Maggio al 6 Novembre 1918 - Gruppo Alpini Roncegno

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Dal 20 Maggio al 6 Novembre 1918

La 1a G.M. > I Profughi

TUTTI I TESTI E LE FOTO SONO TRATTI DAL LIBRO
FILOMENA  BOCCHER DIARIO DI UNA MAESTRA IN ESILIO
NEL <<LAGHER>> DI MITTERNDORF
A CURA DI LENINA BOCCHER E VITALIANO MODENA


PARTE QUARTA


1918

DAL 20 MAGGIO AL 6 NOVEMBRE


Scolari con la maestra Boccher a Vattaro subito dopo il rientro da Mitterndorf ( proprietà Boccher )



Sfiduciato nei destini della patria sua.

20 maggio. Una moltitudine di soldati in casa. Non c'è un minuto di quiete. Vanno e vengono, cantano, urlano. E la mamma è malata.

13 giugno.
Soldati ora ce ne sono pochissimi in paese, ma han lasciato una sudiceria tale nelle strade e dappertutto, ch' è un orrore. Ovunque stracci, barattoli di conserva (ma vuoti, veh!), munizioni.

15 giugno.
Giorno e notte si ode il rombo del cannone. Stanotte s'è potuto dormir poco.

17 giugno.
La quota di viveri assegnata dall'i.r. Ufficio d'approvvigionamento s'è ridotta a l kg di farina in settimana, e nessun condimento.

30 giugno.
Ho ricevuto dalla "Sudbahn - Gesellschaft" ("Società - stazione Sud") in Vienna, una lettera colla proposta di pagarmi 600 corone di risarcimento per i bagagli che avevo impostato a Mitterndorf per Vattaro e che furono rubati. Io avevo chiesto 800 corone, ma purché l'affare si sbrighi presto, posso accettare la proposta fattami.

7 luglio.
Ho partecipato al Consiglio scol. distrettuale che intendo chiuder la scuola ai 15 corro invece che ai 31 agosto come era stato ordinato, perché colla quota di viveri che ricevo non posso lavorare.

8 luglio.
Sono costretta a chiuder la scuola perché mi sento ogni giorno più debole, ma mi piange il cuore a farlo, perché i miei scolaretti vengono alla scuola tanto volentieri. Non manca mai nessuno alle lezioni. Mi pare impossibile che il locale comitato di approvvigionamento non possa conceder alla maestra più di mezzo kg di farina in settimana.

11 luglio.
Un giovane soldato tedesco, arrivato oggi in Vattaro, passeggiava coi suoi camerati, vicino alla casa ove abito. Vedendo nel prato qui presso molte ciliege, venne a domandarmi se gliene vendessi un kg. Risposi ch'io non sono la proprietaria e gli indicai a chi avrebbe dovuto rivolgersi. Invece di andarsene, si trattenne un po' silenzioso sulla porta della cucina, e poi mi domandò se io fossi di Vattaro. "No", risposi, "sono di Roncegno ... che è stato saccheggiato e bruciato". "Da chi ?" domandò. - Dai "nostri" - risposi con amarezza. "Ah !" fece il soldato. Tacque un poco poi disse: "È orribile questa guerra. Non s'è fatto altro che distruggere. E finirà colla distruzione dell'Austria". "Possibile ?" "Sicuro; i soldati non potranno regger più a lungo; manca tutto. Niente pane, niente montare". "Ma per gli ufficiali ce n'è". "Sì, per quelli sì. 'Die tun nur fressen' ('questi non fanno che mangiare'). Guardai il soldato negli occhi. E vi lessi un disprezzo, un odio, che non s'addicevano ai lineamenti belli e dolci del suo viso di bimbo. - Vuole accomodarsi? - gli domandai.
- Wenn ich nur nicht zu viel store, wenn Sie so gut sind ...Ich bin doch sehr miìde - (-  Purché non disturbi troppo, se Lei è così buona... Ma io sono stanchissimo -). Entrò nella camera, si levò il berretto, e sedette. Vedendo sul mio tavolo libri e quaderni mi domandò: - Sind Sie Lehrerin? - (- Lei è maestra? -) - Sì, - risposi. Mi domandò come mi trovassi nel paese, com'è la gente, se sono bravi i bambini. Poi mi disse che egli è nato a Vienna, che ivi ha la mamma e una sorella, che il babbo è soldato, e che lui è molto stanco della guerra. - Tutti sono stanchi, - gli dissi. - Non tutti - ribattè con forza il soldato. - Gli ufficiali non sono stanchi; se finisse la guerra, finirebbe il buon tempo. Voglio dire degli ufficiali austriaci -, aggiunse sommessamente. - Gli ufficiali austriaci stan meglio degli ufficiali germanici? - domandai. E il soldato: - Gli ufficiali germanici san più valorosi, e più giusti colla loro gente. Porcherie come nell'ufficialità austriaca non se ne trovano altrove --o Tacque un momento, mentre io lo guardavo pure silenziosa. Poi prese fuori un notes, ne staccò un foglietto e vi scrisse: Hans Herbsthofer im s.f.a. R/25/ Bttie 3 fpost 283. - Das ist mein Name und meine Andresse - (- Questo è il mio nome e il mio indirizzo -) disse porgendomi il foglietto. Lo presi un po' confusa, domandandomi cosa intendesse con quell' atto. Voleva darmi una prova di fiducia in me, e della sua sincerità? lo non sapevo che pensare. Ero imbarazzata. Mi faceva pietà ma avrei voluto se ne andasse. Temevo a parlare. Parve che egli mi comprendesse perché si alzò e fece per accomiatarsi. Stringendomi la mano rispettosamente, mi disse: "La ho molto disturbata e La prego a scusarmi. Ma avevo bisogno di trovarmi un momento con una persona come Lei. Ella è buona e intelligente. Forse diffida di me, ma io Le ho parlato col cuore aperto come parlerei alla mia mamma, alla mia sorella, se le avessi qui. Partirò domani. Permetta che ritorni domani a salutarla". "Venga pure - gli dissi; - solo mi dispiace di non aver da offrirLe nè un bicchier di vino, nè altro". - Non accetterei - rispose fiero. - Mi ha già fatto un gran regalo permettendomi di star qui un quarto d'ora con Lei. E un pezzo che non incontro una persona colla quale trovarmi bene, come mi sono trovato bene adesso -.-Coraggio! - gli dissi vedendo che aveva le lacrime agli occhi. Egli salutò in fretta, alla militare, e se ne andò dicendo: - Bitte sehr zu entschuldigen - (- Prego molto di scusarmi -). Povero giovanotto! Può avere appena vent'anni, si capisce dai suoi modi ch' è di buona famiglia, e dalla sua bella calligrafia svelta e corretta s'indovina che è istruito; essendo tedesco, si direbbe che nell' esercito non ha subito maltrattamenti, fa bellissima figura; eppure com' è triste, pieno di amarezza, sfiduciato nei destini della patria sua, sprezzante di chi ne regge le sorti.


12 luglio.
Il soldato di ieri è venuto a salutarmi. Mi ha di nuovo ringraziata vivamente. - Ma di che? - esclamai quasi mortificata. E gli augurai che potesse presto rivedere i suoi cari; ed egli rispose: " Mòchte es sein, gnadiges Fraulein. Ich auch wùnsche Ihnen das Beste. Und nochmals tausend Dank! - (- Volesse il Cielo, gentile signorina. Anch'io Le auguro le cose migliori. E ancora una volta mille grazie! -) Mi pareva di veder partire un fratello.

15 luglio.
Stamattina chiusura della scuola.


La fine della guerra sembra vicina: ma il cannone
romba continuamente.

4 agosto. Un soldato galiziano entrò nella mia camera senza aver picchiato alla porta. Ero lì per fargli cenno di uscire, ma non n'ebbi il coraggio, perché vidi che era triste e confuso. Gli domandai cosa volesse, pur indovinandolo. Era affamato e pregava di qualche cosa da mangiare. Gli diedi un piattino di fagioli e un pezzetto di polenta. Mangiò silenzioso, avidamente. Poi fece il segno della' croce e mi ringraziò. Non sapeva bene la lingua tedesca, ma si faceva intendere un po' a parole, un po' a cenni. Mi domandò se sapessi la lingua polacca. Dissi di no. Egli non conosce che quella, e pochissimo tedesco. La mamma mi disse: - Guarda che uomo alto e tarchiato e ha un' espressione da bambino -. Era vero. Gli domandai come si chiamasse. Ed egli scrisse su una carta: Dmetro Husak. Ma ci mise un bel momento a scrivere il suo nome. Non aveva familiarità colla penna. Stette lì un poco poi andò. Stasera vennero in cucina altri due soldati galiziani e pregarono la mamma di lasciargli cuocere qualche cosa. La mamma acconsentì. I soldati che ci sono ora in paese san "quasi tutti galiziani.

8 agosto.
li paese è pieno di soldati. Ci sono anche molti ufficiali e un colonnello. Sembra che non debbano partir subito. Qua e là ci sono cucine militari. Ma i soldati van sempre per le case domandando qualche cosa da mangiare.

11 agosto.
Oggi durante la S. Messa il Curato ha pubblicato con soddisfazione che il signor colonnello concede il rancio gratuito a dieci persone bisognose del paese. Dopo 15 giorni, a queste persone ne verranno sostituite altre dieci e così di seguito, finché il colonnello starà a Vattaro. Aggiunse che il colonnello desidera che la sua presenza in paese riesca benefica alla popolazione.

14 agosto.
In seguito a un ordine improvviso tutti i soldati sono partiti per il fronte italiano.

29 agosto.
Per la gente del paese, che in generale ha campi da cui ora s'incomincia a raccoglier qualche cosa, la condizione non è terribile come per i profughi: ma questi, spogliati di tutto, lontani dai loro paesi, che cosa possono far colla sottilissima quota di viveri che ora ricevono? Per non morir di fame, essi corrono con tutti i loro piccoli risparmi, con tutti quei pochi soldi che ricevono quale "sussidio profughi", corrono a cercare strozzini pietosi che vendano loro qualche cosa da mangiare. Oggi, insieme con una profuga, sono andata a Trento, a presentare al capitano una supplica scritta a nome di tutti i profughi di Vattaro e da essi firmata, in cui espongono la loro condizione e implorano dal Capitanato disposizioni che migliorino la loro condizione. Il capitano conte Consolati, cui a gran stento potemmo pervenire, fu gentile e accolse benevolmente la domanda; promise di mandare a Vattaro un delegato capitanale, che avrebbe esaminato la cosa e avrebbe regolata la distribuzione dei viveri.

7 settembre.
Di notte il cannone romba quasi continuamente. Di giorno, una quantità di aeroplani.

10 settembre.
I soldati che c'erano in paese sono quasi tutti partiti per il fronte italiano. Sullo stradone passano continuamente automobili e autocarri con grandissima quantità di munizioni.

12 settembre.
Sono andata con papà a Trento. Nei cittadini si vede un po' di gioia e di speranza. Parecchi ci dissero che tutt' al più fra due mesi la guerra sarà finita. Papà si consola tutto. Ma, sarà poi vero? Come fanno a saperlo? Si parla di Americani che san già venuti, che affretteranno la fine della guerra. Fosse vero!

Austria kaputt.

22 settembre. Sono venuti quattro soldati a pregarci di lasciar loro cuocere qualche cosa, ché erano affamati. Si prepararono una certa minestra che faceva pietà. Tagliuzzarono una zucca, vi unirono 1 kg di fagioli, e qual condimento vi aggiunsero due grappoli di uva ancor verde. Quando i fagioli cominciavano a rammollirsi, levarono dal fuoco il paiuolo e mangiarono tutto avidamente. Poi uno di essi, uno "Zugfùhrer", mi domandò quanto si pagano in paese i fagioli e le zucche. Risposi che zucche non ne ho mai comperato e che fagioli ne ho pagato a 5 e a 6 corone il kg. - Perché - disse - io ho pagato la zucca 6 cor. e i fagioli 8 cor.? - . Poi mandò un caporale a farsi fare dal. .. una ricevuta delle 14 cor. da lui richieste per la zucca e per i fagioli. Ma il briccone, temendo che una tale ricevuta non gli facesse onore, preferì dar di ritorno al caporale le 14 cor. già incassate.

6 ottobre.
Il papà s'è sentito oggi più male del solito. Ho pregato il Curato di venir a vederlo. E venuto subito. Mi ha assicurato che non c'è pericolo. Ha consolato papà dicendogli che la pace è vicina, di sicuro, perché le potenze centrali hanno fatto un' altra proposta di pace, in cui dichiarano di accettare i 14 punti di Wilson. Papà si rianimava tutto.

7 ottobre.
Tutto il giorno s'è udito il rombo del cannone. Papà diceva: - Ma questo non promette pace! -. E si accorava.

14 ottobre.
Nel paese ci san molti soldati. Ce ne capitano sempre anche in cucina. San tutti pieni di speranza che la pace sia prossima e fanno una grande allegria. Schiamazzano, cantano, suonano.

21 ottobre.
Sulla porta del negozio della "famiglia cooperativa" è esposto un foglio: "Il manifesto dell'Imperatore ai popoli dell'Austria". Dice che l'Austria diventerà uno stato federale.

22 ottobre.
Sono andata a Trento a prendere un po' di roba che il "Comitato profughi" ci ha assegnato. Ho comperato un numero de "Il risveglio austriaco". C'è stampato a grossi caratteri: "La nota di Wilson all'Austria- Ungheria. L'autonomia non basta più".

24 ottobre.
Si dice che nei prossimi giorni i soldati che ora si trovano nel paese partiranno, ma non per il fronte; e che non si combatterà più.

25 ottobre.
Sono andata a Vigolo. Ho visto molti soldati, cui gli ufficiali davano istruzioni. Ma non ho inteso nulla di quello che dicevano. Si capisce però che c'è qualche cosa di nuovo.

27 ottobre.
Il soldato galiziano Dmetro Husak che è stato a lungo durante restate in Vattaro e che veniva spesso nella nostra cucina a cuocersi qualche cosa, è venuto stasera a salutarci. Ci ha detto che domani partirà e che andrà presto in Galizia. Era felice. Disse parecchie volte: "Austria kaputt ; Austria muss fertig; Schluss! ("L'Austria a terra; l'Austria deve essere alla fine; fine !" ). Si accomiatò salutandoci cordialmente e strinse le mani alla mamma, la ringraziò vivamente; e poi ci disse con vivissima cordialità: "Kommen Sie in Galizia: kein Hunger dort!" ("Venga in Galizia: là non c'è fame !"). Povero figliolo! Addio.

Pecore perdute.

28 ottobre. Stamattina son partiti i soldati, ma stasera ne son giunti altri, molti. Si dice che questi sian ritornati dal fronte, e che non vi si combatte più. Un soldato triestino ci ha detto che fra pochi giorni saran qui gl'Italiani.

29 ottobre.
I soldati giunti ieri sera, sono partiti già stamattina precipitosamente.

31 ottobre.
Ho vegliato quasi tutta la notte. C'è stato un andirivieni continuo di soldati nella casa, e molti ce n'erano nel cortile. Facevano uno strepito insolito. Ho tenuto il lume acceso tutta la notte. Avevo paura.

2 novembre.
Ieri verso mezzogiorno giunsero 4 compagnie di militari che in breve riempirono i quartieri loro in Vattaro; e come il solito, un buon numero d'essi prese alloggio nella casa dove abito. Seppi tosto ch' erano soldati che erano passati di qui, diretti verso il fronte, mercoledì e ieri eran già di ritorno perché, giunti a Monterovere, s'erano rifiutati di proseguire il cammino: non volevano andare alla morte. Un giovane soldato triestino venne in cucina a pregarmi di un po' di fuoco per cuocersi alcune patate piccole come nocciole, che aveva nella bisaccia, E racconto con ingenua disinvoltura che non si vuol più combattere; soggiungendo che deve venir la pace, che verrà presto, e che ancora in settimana giungeranno gl'Italiani. . . . , Stamattina partirono tutti i soldati che c'erano a Vattaro; partirono frettolosi, colle cucine fumanti. Oggi furono distrutte le baracche del soldati, e .la g~n~e.SI
portava a casa le assi con una premura che sapeva di cupidigia. E stasera tutti correvano a Calceranica, si dice per comperar generi alimentari nei magazzini militari, perché i soldati partono, e non portano con sè le vettovaglie. C'è poco da capire in questo negozio. Fino ad oggi i soldati venivano a supplicare di vender loro un boccone che avrebbero comperato a qualunque prezzo, e stasera si vende alla popolazione i commestibili destinati alle cucine militari. Mistero!

3 novembre.
Stamattina gironzolavano per il paese dei militari che sembravano pecore perdute. Dopo pranzo vennero qui in casa due ufficiali a cercarsi una stanza. Un po' dopo venne un ufficiale a domandare una camera per un generale. Fra le 3 e le 4 alcuni soldati lavorarono a rimettere i mi del telefono che ieri erano stati levati. Verso le 5 sentii rombare da vicino il cannone. Poco dopo venne la mamma a dirmi che in un campo all' estremità del paese c'erano molti soldati con carri e roba che davano a chi voleva prenderla. Andai colla mamma a vedere. Era uno spettacolo che metteva ribrezzo. I soldati erano sparpagliati per il campo: chi distribuiva roba, chi faceva fuoco e si scaldava, chi mangiava. Sul terreno erano gettati in disordine schioppi, molte cartucce, pellicce sudice, stracci, utensili. Molta gente era accorsa a prendersi di quella roba. Uomini e donne partivano portandosi via enormi pentole, coperte, tende da campo, cassette; qualcuno tirava via carri militari; ragazzetti si portavano via apparati telefonici, secchi e secchielli. lo guardavo sbalordita e non volli che la mamma prendesse nulla. I paesani facevano raccolta di quella roba e se la portavano via con una frenesia che mi faceva orrore. A me hanno preso tutto: han saccheggiato la mia casa, l'hanno bruciata; ma io della loro roba non ne voglio, come non vorrei il vestito che si levasse a un morto. Mi sarebbe parso d'insudiciarmi, di bruciarmi le mani a toccare quella roba; e pensavo che non valeva la pena spogliare le nostre cucine e toglierci tutto per far munizioni così poco gloriose. Oh, venga presto chi saprà darei pace e-pane, chi ci intenderà e porrà fine alle usure, alle prepotenze: vengano i fratelli!

Benvenuti, fratelli!

4 novembre. Sono venuti! Hanno piantato le loro tende sul prato innanzi alla finestra della mia stanza. Papà s'è alzato per vederli. Le gambe gli tremavano, ché è malato da un mese, ma ha voluto alzarsi; ed era commosso, lieto, felice. Parecchi soldati vennero sotto la finestra e ci dissero parole gentili. Un giovanottino lavorava colla baionetta un piccolo legno per la sua tenda, appoggiandolo al tronco d'un albero su cui cadeva pure qualche colpo. Un soldato attempato tosto gli gridò: - Ehi, piccolo, non vedi che rovini l'albero? Vai via di là - E il giovinotto: - Non va mica abbasso un uomo se tocco l'albero! - Ma poi, alla voce risoluta del suo camerata, il "piccolo" ubbidì lesto e sereno. E io davanti a quella scena gentile pensavo alle rovine, ai saccheggi, agl'incendi che fecero nel nostro paese i "barbariche dicevano esser venuti a difenderei. Pensavo alla campagna devastata, agli alberi abbattuti, alle piante divelte, alla nostra povera cara terra calpestata da quegli emuli di Attila. E intanto i gentili soldati regalavano il bel pane bianco ai bimbi che loro si avvicinavano, canterellavano, scherzavano, sorridevano cordialmente ai paesani che li guardavano senza dir loro: "Benvenuti!"
Ma chi durante la guerra più ha sofferto e più è stato maltrattato vi grida dal fondo del cuore: "Benvenuti! E siate benedetti!"


6 novembre.
Ore l e 3/4 di notte. Vorrei poter scrivere questa data a caratteri d'oro! Tanto è bella, tanto è gentile, tanto mi è sacro il ricordo di questo giorno. Fino a mezzanotte vegliai in cucina colla mamma, in compagnia di quattro soldati italiani, belli come fiori, buoni come angioli, cari come fratelli. Regalarono a papà, a mamma e a me pane bianco, formaggio, limoni, carne, brodo, vino, caffè: tutta roba che da quando è guerra non abbiamo mai visto. E prima della guerra neppure mangiammo mai nulla di così buono. Dopo tanto patire, dopo tanta fame, quella cortesia e quei cibi mi parevano un sogno. Proprio un sogno, tanto che non so indurmi a coricarmi per paura di pigliar sonno e nello svegliarmi dover persuadermi che la felicità d'oggi non è stata che un sogno. Ma no, è realtà! È vero, è proprio vero che i nostri valorosi fratelli son venuti a liberarci, a portarci pace e pane. Ho pianto di commozione e di riconoscenza; nell'intimo del cuore ho invocato loro dal cielo le cose più belle; son volata col pensiero nelle case benedette ove son nati; e ho baciato coll'anima le loro madri, le loro sorelle, le ragazze del loro cuore e ho detto loro: "Gloria ai vostri cari, ai vostri bravi, buoni soldati!". Ma ora che vorrei? Vorrei che fossero giunti qui vittoriosi sì, ma stanchi, trafelati, affamati, e aver io potuto offrir loro riposo, ristoro; avrei voluto dormire sul pavimento per offrir ad essi un letto, rinunciare all'ultimo tozzo di pane per saziare con esso uno di quei fratelli che ci ha redenti! Invece son venuti baldi, forti, lindi, ben vestiti, ben pasciuti, provvisti d'ogni ben di Dio: hanno visto la fame che presto ci ha consunti e hanno diviso con noi il loro cibo: e io non posso far altro che inginocchiarmi e dire: "Grazie, fratelli! Voi ci avete redenti, voi ci salvate dalla fame! Voi ci fate riamare la vita. E noi, finché vivremo, canteremo col cuore l'inno della riconoscenza al soldato italiano". I soldati che furono qui ieri appartenevano alla brigata Chieti e i primi venuti, quelli di lunedì, erano della brigata Valtellina. Stasera son venuti nella mia camera tre giovani tenenti. Uno d'essi mi disse: "Abbiamo saputo ch'Ella è una maestra veramente italiana, e ci siamo permessi di farLe una visita". Io ringraziai, confusa, imbarazzata. Offrii loro da sedere. Essi si fermarono circa un'ora, e mi parlavano con gran bontà, con squisita gentilezza. Desideravano ch'io raccontassi loro ciò che avevo patito in questi ultimi anni in patria e nell' esilio. "Non mi ricordo più nulla" dissi. "Son tanto felice!" E mostrai loro un fascicolo della Scuola Italiana Moderna (annata 1915), ch'io avevo conservato come una reliquia. C'era in essa una poesia intitolata: "Il Salmo del Lavoro e della Speranza".

Lessi con voce tremante i versi:

"Per fratelli ancor schiavi, per l'ultimo suolo irredento,
Patria, al tuo cenno trarremo le lucide spade.
Florido arridi, o Maggio, a le fronti secure dei forti
perché di nuovi allori le cinga la Vittoria".

"Viva l'Italia!" esclamò il tenente Riccardo Bevilacqua. "Viva l'Italia!" risposi coll'affetto con cui avrei detto "Viva la Mamma", riabbracciandola dopo una lunga dolorosissima separazione, piena d'angoscia e di trepidazione, nel giorno della sua festa.




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25/02/2023
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