Roncegno nella Guerra 1914-1918 - Gruppo Alpini Roncegno

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Roncegno nella Guerra 1914-1918

La 1a G.M.


RONCEGNO NELLA GUERRA 1914-1918


di Luca Girotto



"I1 28 giugno del 1914 avevo pranzato colla mia figlia Lucia all'albergo "Stella" in Roncegno.
Era una splendida ed ideale sera d'estate: Roncegno risplendente di luci, affollata da una folla variopinta di bagnanti si adagiava tra il verde tenero dei vigneti e quello più cupo dei castagni, quasi volesse essere ammirata dalla schiera di paesi ridenti che giù giù per la valle si perdevano luminosi.
La stagione balneare era al suo colmo.
Stavo prendendo il caffé quando dietro alle mie spalle la ben nota voce del Sig. Froner, proprietario della "Stella", mi sussurrò all'orecchio:
- Questa mattina a Serajevo furono assassinati lì'Arciduca Ferdinando e sua moglie! - Mi voltai di scatto, ma il sig. Froner mi fèce cenno di tacere, non essendo ancora arrivata la notizia uffciale, ed in austria non si scherzava in materia di notizie riguardanti la famiglia imperiale: all'epoca dell'assassinio dell'arciduca Rodolfo quanti furono imprigionati e processati per aver discusso il fatto; ma la notizia, mi diceva Froner, era certa."


RONCEGNO 1914 CA. "HOTEL "STELLA"
(Foto tratta dal libro "LO STABILIMENTO BALNEARE NELLA VITA DELLA BORGATA" di Vitaliano Modena)



Con queste poche righe le memorie di guerra del cav. Giuseppe d'Anna, di Telve, descrivono l'arrivo in Valsugana, ed in particolare in Roncegno, della notizia relativa all'attentato di Sarajevo, il "casus belli" che innescherà quello sconvolgimento epocale oggi noto come Grande Guerra.
In effetti, dopo quel conflitto il mondo non sarebbe più stato lo stesso, i mutamenti da esso determinati interessando tutte le realtà europee dai massimi ai più infimi livelli.
E pur amando la Valsugana ed i suoi paesi, non possiamo che collocare in quest'ultima categoria le tragiche sorti belliche della porzione centro-orientale della valle, sorti nelle quali il destino di Roncegno venne più o meno condiviso dai centri abitati circostanti.
Dopo i primi dieci mesi di guerra nei quali Roncegno, al pari delle altre comunità valsuganotte, ebbe a soffrire la perdita dei suoi figli migliori sui lontani ed insanguinati fronti della Galizia e dei Carpazi, la dichiarazione di guerra dell'Italia nel maggio 1915 portò infine la guerra in casa.
La sfortuna peculiare di Roncegno, più ancora dei vicini villaggi di Marter e Novaledo ad ovest o di Borgo ad est, fu tuttavia quella di sorgere proprio in quella che alla prima stabilizzazione del fronte divenne la cosiddetta "terra di nessuno".
Nei villaggi più ad oriente, l'avanzata italiana tra maggio e agosto del 1915 aveva permesso alle regie truppe di insediarsi nei centri abitati avviando una ragionevole convivenza con la locale popolazione, che in massima parte non aveva voluto abbandonare le proprie case nella speranza si trattasse, similmente a ciò che era accaduto nell'estate dell'ormai lontano 1866, di una bufera passeggera.
Ne' le forze austriache avevano avuto il tempo, ed ordini precisi, per evacuare forzatamente queste comunità.
Nel medesimo arco di tempo invece, nell'alta Valsugana, la chiara percezione che l'intera area sarebbe diventata "zona di guerra" con la conseguente necessità per i militari di avere campo libero, in tutti i sensi, aveva permesso alle autorità civili e militari asburgiche di disporre il progressivo allontanamento dei residenti civili da Caldonazzo, Calceranica, Tenna, Levico, S. Giuliana e Barco.
In un modo o nell'altro, quindi, alla fine d'agosto la situazione delle porzioni centrale ed orientale della Valsugana si era provvisoriamente chiarita: da un lato i villaggi, ormai quasi tutti completamente evacuati, erano rimasti a disposizione delle scarse forze austriache; dall'altro i centri della Valsugana orientale erano diventati zona di accantonamento delle fanterie italiane che non tardarono a socializzare con una popolazione perplessa dal cambio di sovranità ma anche favorevolmente disposta dalla comunanza linguistica.
Per Roncegno e per Marter, invece, l'avanzata italiana, arrestatasi alla periferia occidentale di Borgo con lo sbalzo del 24 agosto, non aveva risolto nulla: abbandonati dalle forze della duplice monarchia sin dal maggio precedente ma non ancora occupati dagli italiani, i due villaggi erano frequente meta di pattuglie imperiali discese dal Panarotta o dal Fravort, oppure avanzate dalla linea di Novaledo.
D'altro canto, i medesimi centri abitati erano anche oggetto di puntate esploranti italiane svolte da piccoli reparti usciti dalla linea in costruzione ad ovest di Borgo tra via della Fossa ed il l o boale.
Su Marter e Brustolai confluivano infine le ricognizioni dei reparti italiani che controllavano la sella di malga Puisle e la testata di Val Canaja, tra la cresta boscosa del monte Zaccon ed il molto più elevato crinale dell'Armentera.
Ormai in piena terra di nessuno, i due paesini e le loro comunità rappresentavano solo un impiccio per i due contendenti: da parte italiana si era restii ad utilizzare le artiglierie contro obiettivi civili, anche se si temeva e si sospettava, spesso a ragione, che tra le case potessero annidarsi forze avversarie; dal canto loro, gli austriaci non erano certo in grado a quel punto di garantire la difesa dei villaggi, ne' desideravano lasciare le abitazioni intatte a disposizione dei probabili futuri occupanti. Ecco dunque la ragione delle drastiche misure assunte dalle forze imperiali i1 31 di agosto, dopo che il giorno antecedente un ufficiale di cavalleria austrico, entrato in paese imprecando contro il tradimento degli italofoni, aveva dichiarato che se entro sera l'intera comunità non avesse evacuato l'abitato egli avrebbe fatto appiccare il fuoco alle case.
Nel primo pomeriggio del 31 dal caposaldo del Panarotta e dalle posizioni circonvicine iniziava un pesante tiro d'artiglieria contro Roncegno.
Il bombardamento, eseguito utilizzando anche proiettili "a liquidi speciali"come si usava dire all'epoca, scatenava rapidamente furiosi incendi, ricordati anche nella cronaca del parroco don Francesco Meggio, che infuriavano "(. . .) dalla crociera della Villa Superiore ed Infèriore fino via ai Boschetti: per tal modo il paese per un terzo restò in preda alle fiamme. (. . .)"4.
A sera, una impressionante colonna di fumo, rosseggiante di lingue di fuoco alla sua base, torreggiava sopra il villaggio.
Ben quarantasette case andarono completamente distrutte nell'occasione. Fu questo, per la popolazione, il segnale che ormai neppure in Valsugana la guerra era disposta a fermarsi di fronte alla vita ed alle necessità dei civili. Quasi tutti gli abitanti di Roncegno, nelle ore successive all'incendio, si allontanarono dalle proprie case con i pochi averi rapidamente raccolti in miseri fagotti.
La maggior parte di loro si spostò verso l'alta Valsugana ed il perginese, da dove le famiglie prive di mezzi autonomi di sostentamento - cioè la quasi totalità - furono ben presto costrette a spostarsi verso l'interno dell'impero per finire nei tristemente noti campi profughi di Pottendorf e Mitterndorf. Pochi nuclei, quelli maggiormente compromessi per la loro posizione filo-italiana, si diressero rapidamente verso Borgo da dove vennero poi avviati verso le regioni centrali del regno; tra di essi figurava quel signor Froner, proprietario in Roncegno degli alberghi "Al Moro" e "Stella", che quasi un anno prima aveva informato in anteprima il cav. Giuseppe d'Anna del duplice omicidio perpetrato a Sarajevo.
Solo alcune famiglie, temporaneamente riparate nei masi di Monte di Mezzo, tornarono ai primi di settembre alle loro case, per abbandonarle però definitivamente, su ordine tassativo dell'autorità militare austriaca, alla metà d'ottobre.
Da quel maledetto 31 agosto Roncegno, svuotato di ogni forma di vita socialmente organizzata, divenne un bersaglio qualsiasi per le opposte artiglierie, ormai liberate dalle ultime remore inerenti all'eventualità di poter causare vittime tra i civili.
E Marter, entro poche settimane, subì il medesimo destino.
I fanti italiani che si avventureranno nell'inverno 1915-1916 tra i ruderi anneriti delle terme, o tra gli abbruciati avvolti dei masi di santa Brigida e delle due Ville, di Sotto e di Sopra, faticheranno assai ad immaginare lo sfarzo ed il brulicare di vita che avevano caratterizzato la vita del fiorente centro termale fino a poco tempo prima.
Ed anche il bellicoso capitano Cristoforo Baseggio, alla testa della sua "Compagnia della morte" non sarà troppo impressionato nell'attraversamento notturno del paese durante i primi mesi del 1916, ignaro del fatto che su quelle strade la nobiltà e l'alta borghesia dell'impero asburgico avevano tanto serenamente quanto inconsapevolmente speso le stagioni del tramonto della "belle epoque".
Con buona parte del suo ormai svuotato nucleo abitato ridotto ad annerito ammasso di rovine carbonizzate, Roncegno proseguirà tristemente il suo calvario bellico sotto il tiro dei cannoni austriaci fino al maggio 1916.
Le vicende della battaglia di S. Osvaldo, primo serio tentativo italiano di forzare lo sbarramento austriaco della Valsugana assalendone il principale caposaldo settentrionale, completeranno l'opera di devastazione del patrimonio edilizio e di quello agricolo e silvo-pastorale.
I boschi trasformati da italiani ed austriaci in fonti quasi inesauribili di legna da ardere, il bestiame forzatamente lasciato indietro dai civili ridotto a carne da macello per i militari e le campagne lasciate incolte e sfregiate da crateri, trinceramenti e fili spinati, segneranno per lunghi decenni nel primo e nel secondo dopoguerra il destino economico e sociale di una comunità che non ritornerà mai più la stessa.
Sarà poi il successo parziale della cosiddetta "offensiva di primavera nel Tirolo meridionale", la arcinota "Strafexpedition", a sancire il temporaneo ritorno del villaggio sotto il dominio dell'aquila asburgica.
Lo spostamento della prima linea austriaca ad est di Castelnuovo, lungo la sponda orientale del Maso, conseguente all'arretramento italiano fino ad Ospedaletto, trasformerà Roncegno in tranquilla, anche se devastata, retrovia nonché in sede del comando della divisione che si assumeva la responsabilità della difesa della valle.
Ed il tardivamente rinnovato tentativo di forzata "germanizzazione" dell'area della Valsugana centro-orientale passerà anche per una patetica rivisitazione della toponomastica: ecco comparire allora su mappe e segnaletica un curioso "Rundschein" al posto dell' italianissimo Roncegno, a fianco di toponimi fino ad allora altrettanto sconosciuti ed inusuali come "Neulen" (Novaledo), "Burg" (Borgo), "Ober-Telve" (Telve di sopra), "Unter-Telve" (Telve), "Turtschen" (Torcegno) oppure ancora "Rautberg" (Ronchi). Le vicissitudini di un conflitto prevalentemente statico quale fu la guerra di posizione in Valsugana nel corso del 1917 non influenzarono in modo rilevante le sorti di Roncegno finchè, ai primi di novembre, non iniziarono a manifestarsi i primi segni del dramma iniziatosi a Caporetto il precedente 24 ottobre.
Nel giro di una settimana, dal 5 al 12 novembre, la Valsugana e l'intero Canal di Brenta fino all'altezza di San Marino vennero completamente evacuati dalle truppe italiane, ormai pressate dalla necessità di rischierarsi sulla linea Melette di Fozafondo di val Brenta- massiccio del Grappa- fiume Piave.
Dal dicembre 1917 all'ottobre del 1918 a Roncegno come nei paesi circostanti vennero fatte ritornare poche famiglie, soprattutto allo scopo di recuperare per quanto possibile le campagne più facilmente coltivabili e garantire così un incremento delle disponibilità alimentari per un esercito, quello austriaco, ormai drammaticamente alle strette sul versante degli approvvigionamenti.
La vita del villaggio parve così stancamente risollevarsi, trascinandosi penosamente tra angustie e privazioni fino all'autunno del 1918, quando quel rivolgimento localmente noto come "el rebaltòn", conseguente al crollo repentino della resistenza della compagine militare, pose drammaticamente quanto rapidamente termine alla plurisecolare dominazione asburgica sul Tirolo italiano nonché alla esistenza stessa della ormai vetusta duplice monarchia.
Alla fine del conflitto, oltre 300 case erano andate distrutte nella borgata ed a Marter, mentre la quasi totalità dei masi sparsi sulla montagna, fra Cinque Valli e la Trenca era stata data alle fiamme dai due contendenti già nel 1916.
Paradossalmente, la popolazione del paese risultò invece incrementata rispetto a prima della guerra: nel maggio 1915 gli abitanti dimoranti nel comune di Roncegno erano 3363, mentre alla fine del 1918 ne risultavano presenti 3620.
La ragione stava nel fatto che gli appartenenti al municipio di Roncegno nell'anteguerra erano oltre 4500 ma molti di essi da anni dimoravano, dopo essere ivi emigrati in cerca di lavoro, nel Voralberg, in Austria, in Boemia o in Germania.
Da quei paesi l'esito del conflitto aveva finito con lo sfrattarli, facendoli rientrare assieme alle loro famiglie 5 in un paese distrutto, non in grado di ospitarli ne' tantomeno di sfamarli.




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25/02/2023
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