Signore, un pezzo di pane! - Gruppo Alpini Roncegno

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Signore, un pezzo di pane!

La 1a G.M.



SIGNORE, UN PEZZO DI PANE!

di Vitaliano Modena



Diversi profughi parlano degli anni dell'esilio in Boemia come di un periodo di miseria e di fame.
Infatti il sussidio si rivelò ben presto, per tutti, un aiuto insufficiente a  garantire la sopravvivenza.
Chi dovette contare solo su quello visse momenti angosciosi e disperati.
Le derrate alimentari, bastanti nei primi tempi, subirono una consistente riduzione in tutte le provincie dell'impero per soddisfare le esigenze della guerra, e la penuria costituì un accentuato motivo di disagio per le varie collettività, soprattutto per quelle più povere, particolarmente per gli indigenti.
La gente boema, pur ricca di umanità com'è stato riconosciuto, non sempre poté o volle condividere le povere risorse con i più bisognosi.
L'istinto di conservazione e il dovere di lottare per superare le gravi ristrettezze spinsero i profughi, anche bambini, alla ricerca spesso rischiosa e umiliante di cibo, di frutti lasciati nei campi o maturati lungo le strade, a chiedere perfino la carità.
Nei primi tempi avevamo patate, pane e farina d'orzo. Arrivò poi un periodo nero e cibo non ne avevamo. Rimanemmo otto giorni senza pane e quasi senza mangiare. Si andava per carità e qualcuno, come risposta, ci aizzava i cani. Così non potevamo andare avanti. I miei decisero allora di farsi trasferire a Mitterndorf. Messe le poche pentole e alcuni oggetti in un lenzuolo, raggiungemmo la città di baracche.
Ci davano una pagnotta la settimana per persona, così a noi ne toccava una al giorno, insieme con tre quarti di latte, poi diminuito a un quarto, e a un po' di zucchero che scambiavamo con il latte di capra dei nostri vicini. La fame trionfava: eravamo costretti a rubare patate e frumento. Un giorno arrivò mio padre, congedato per limiti d'età. Andammo insieme a cercare patate nei campi, ma ci presero e ci portarono al posto di polizia. Per fortuna capirono la situazione e non avemmo conseguenze. Il papà trovò poi un lavoro e cominciò per noi una vita nuova.
Si andava in cerca di pane: -Ponì  prosìm vas dejmi kousek chleba", ("Signore, prego un pezzo di pane"). E questo era umiliante, ma necessario.
Andavo in giro per le strade con una carriola a raccogliere "fichi" di cavallo che portavo a signore del posto per i fiori, in cambio di un pezzo di pane.
Quando transitava il treno alla stazione di Cernosice, noi ragazzi accorrevamo e qualcuno, delle volte, ci buttava dal finestrino un pezzo di pane nero. E quando, l'estate, veniva in villeggiatura da Praga una famiglia di signori, ci avvicinavamo alla carrozza e qualcosa ci davano sempre. Furono anni difficili.
Nei primi tempi non ci mancò nulla. Poi il pane venne razionato: si riceveva una pagnotta in tutti, una fetta per ciascuno. Quando andava bene, si tritava con un macinino un po' di grano spigolato nei campi e si cuoceva una "trisota" a mezzogiorno. A cena si mangiava qualche patata. Un giorno, la mamma ci disse, a pranzo, che per la cena non avrebbe avuto nulla da mettere in tavola. Nel pomeriggio bussò il postino e disse che era arrivato un pacco per noi: era una grande chleba. La mamma uscì in questa esclamazione: "Ora credo proprio nella Provvidenza!". Aveva spedito il pane mia sorella che da poco aveva trovato lavoro presso la famiglia di un medico, in un altro paese. Per procurarci delle patate bisognava andare in un paesetto distante 17 chilometri e si chiedevano come elemosina. AI ritorno, anche noi bambini di sette, otto anni ne portavamo uno zainetto di cinque chili. Percorrevamo questo tragitto una volta la settimana, bussando alle porte di tutte le case, contenti se ci offrivano anche un pezzo di pane.


Boemia. Scolari a Cernosice: fra di essi Ilario Zottele, Primo Dalsasso, Giuseppe Zottele e Anna Dalsasso.

Giocavamo con i ragazzi boemi "a buseto" con dei grossi fagioli; eravamo diventati abilissimi in questo gioco, perché i fagioli vinti finivano nel minestrone. È proprio vero che la necessità aguzza l'ingegno. Vari episodi narrati dimostrano l'intransigenza di certi contadini nella difesa dei prodotti della propria terra, praticata anche con comportamenti rozzi e brutali verso i trasgressori. In riferimento a questo, le testimonianze sono parecchie. Eccone alcune. Guai se ci vedevano raccogliere denti di leone lungo le strade. Ciò nonostante, la mamma mi mandò, un giorno, a cercarne, perché ne avevamo bisogno. Avevo con me la sorellina. A un certo punto ero contenta perché avevo già fatto un discreto raccolto. Sopraggiunse un uomo sopra un carro trainato da una coppia di buoi. Scese, mi s'avvicinò, affondò la mano nella piccola cesta, estrasse una manciata di erbe e le diede in pasto a uno dei buoi. In aggiunta mi affibbiò alcune frustate; mi lasciò libera perché mia sorella si mise a urlare disperatamente. Il bue, qualche giorno dopo, morì.
Andavo in compagnia di un'amica a prendere il latte presso una famiglia di contadini. La strada era fiancheggiata da alberi da frutto, piantati da quelle parti anche come ornamento: susini, meli. Raccogliemmo qualche prugna e ne mangiammo. Alcune persone, in cui ci imbattemmo, ci fermarono, ci sgridarono e ci fecero gettare in terra i frutti rimasti. In un altro caso andrà a finir meglio. Il papà e lo zio andavano di tanto in tanto a raccogliere legna secca nel bosco. Un giorno li accompagnammo pure noi bambini. Poco dopo essere giunti sul posto, udimmo: "Via taliani, via taliani!" Il papà non scappò, ma volle parlare con il proprietario. Questi, accertatosi che si trattava di legna secca, ci chiese scusa e ci permise di proseguire nella raccolta.
Per trovare qualcosa da mettere sotto i denti facevo di tutto: rubavo le patate alle bestie, andavo a caccia di mele servendomi di una pertica con un chiodo conficcato sulla punta, che allungavo di là dalle recinzioni, spigolavo granturco che poi trituravo con un macinino del caffè inchiodato al pavimento. Ricordo un fatto che mi è rimasto impresso. Un mio compagno mi invitò un giorno a far visita a una signora di là, dalla quale c'era la probabilità di ricevere una fetta di torta ciascuno. Bussato alla porta e levati gli zoccoli, fummo invitati a entrare. La signora ci offerse un pugno di scorze di patate crude, borbottando qualcosa. Guardai Mario che mi disse: "Mangia le scorze, poi arriverà la torta". Non riuscivo né a comprendere il significato di quanto stava avvenendo né a mangiare le scorze. Mario le mangiò tutte ed ebbe la torta; io me ne andai senza ricevere nulla.




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25/02/2023
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